Descrizione
Lo studio potrà essere articolato secondo tre livelli di approfondimento.
1. Scala regionale
A questa scala verranno osservate le relazioni fra i diversi livelli di tutela del territorio, al fine di comprendere quali interazioni possono essere ulteriormente sviluppate per superare la condizione attuale, caratterizzata da una eccessiva settorialità, che costituisce un forte limite alla attuazione di efficaci strategie di mitigazione degli effetti del cambiamento climatico.
Il sistema della tutela ambientale (parchi e riserve regionali), le aree individuate in attuazione della direttiva europea Natura 2000, i piani paesaggistici e la proposta di rete ecologica regionale restituiscono un quadro frammentato e disomogeneo che tiene in scarsa considerazione le ampie aree degradate da processi di trasformazione antropica.
In particolare, per quanto riguarda i piani paesaggistici relativi agli ambiti territoriali definiti dalle Linee Guida del Piano Paesistico Regionale, l’analisi si concentrerà sulla categoria delle aree indicate nei regimi normativi come soggette a “Recupero”. Questa categoria riguarda le parti del territorio “interessate da processi di trasformazione intensi e disordinati, caratterizzati dalla presenza di attività o di usi che compromettono il paesaggio e danneggiano risorse e beni di tipo naturalistico e storico-culturale”. Gli interventi previsti in queste aree “devono essere indirizzati alla riqualificazione, al ripristino e al restauro dei beni, dei valori paesaggistici e ambientali manomessi o degradati”.
Ad una prima osservazione emerge come la categoria del “Recupero” riguardi aree molto contenute del territorio regionale. Essa pertanto rischia di non rappresentare un efficace strumento per ottenere il risultato per il quale esse sono state introdotte nei regimi normativi.
L’analisi andrà quindi estesa a intorni immediatamente prossimi, nei quali non è improbabile che il degrado paesaggistico ambientale possa essersi esteso. I criteri per questa estensione, potranno prendere spunto dalla nuova direttiva EU sul Ripristino della Natura.
In particolare:
Considerando (50): “Il ripristino degli ecosistemi di acqua dolce dovrebbe includere interventi volti a ripristinare la connettività naturale dei fiumi, delle loro zone rivierasche e delle loro pianure alluvionali, anche attraverso l'eliminazione delle barriere artificiali…”
Art. 8: Ripristino degli ecosistemi urbani
Art. 9: Ripristino della connettività naturale dei fiumi e delle funzioni naturali delle relative pianure alluvionali
La ricerca dovrà quindi proporre i criteri e le modalità per estendere la categoria del “recupero” introducendo esplicitamente il ripristino degli ecosistemi.
A completamento di questa fase si potranno proporre delle simulazioni finalizzate a costruire una mappatura regionale che estende secondo criteri rigorosi la categoria del recupero a particolari categorie di uso del suolo che richiedono prioritariamente questa forma di intervento.
2. Area metropolitana catanese
Il sistema insediativo sviluppatosi negli ultimi 40 anni intorno alla città principale si caratterizza per un forte consumo di suolo che ha interessato anche i comuni contermini. La presenza di aree soggette a tutela è particolarmente ridotta.
Permangono tuttavia molte aree agricole e seminaturali, molto frammentate e spesso in stato di abbandono. Queste aree sono soggette a un rischio costante di trasformazione a causa di strumenti urbanistici obsoleti e non rispondenti alle reali esigenze.
La mappatura di queste aree residue restituisce una situazione frammentata e richiede la definizione di un nuovo assetto normativo che consenta la salvaguardia e il mantenimento della biodiversità.
L’analisi potrà restituire un quadro aggiornato del rischio di trasformazione delle aree residue, anche in relazione ai vincoli e agli strumenti urbanistici vigenti.
Un punto rilevante dovrà riguardare strategie innovative per rendere attuabile la trasformazione delle destinazioni d’uso, conciliando interessi economici e tutela ambientale.
3. Caso Studio: dal Parco di Monte Po alla zona costiera della Playa (territorio comunale di Catania)
Il caso studio riguarda il margine sud-ovest della città di Catania, corrispondente al bacino idrografico del torrente Acquicella e dell’affluente Vallone Acquasanta, fino alla foce presso il “Faro Biscari”.
La zona si caratterizza per la compresenza di:
Aree agricole e naturali residue
Insediamenti urbani in condizioni di degrado
Infrastrutture dismesse
Attrezzature urbane come il cimitero principale
La principale risorsa è una vasta zona non edificata, rimasta tale grazie al PRG del 1969 (“Piano Piccinato”) che prevedeva un parco urbano mai realizzato.
Sono presenti preesistenze a valore antropologico e archeologico (es. basilica bizantina di San Cristoforo, Certosa di Santa Maria di Nuova Luce).
È in corso un protocollo d’intesa tra RFI e il Comune per il riuso delle aree ferroviarie (Officine Grandi Riparazioni, scalo merci di Acquicella).
La zona ha un grande potenziale per:
Ripristinare la continuità ecologica del bacino
Connettere le aree agricole a est con la fascia costiera (Playa, Boschetto della Playa)
Intervenire con tecniche di rinaturazione, desigillazione, ponti verdi
Nonostante le difficoltà dovute a infrastrutture invasive (es. “Asse dei Servizi”), l’area rappresenta una rara occasione di riqualificazione ambientale.
La proposta dovrà individuare modalità d’intervento, categorie prioritarie, e tecniche di recupero ambientale in linea con il nuovo regolamento europeo.