PRIN PNRR 2022

Il Quadro Normativo

Il regolamento sul ripristino

Premessa

Nel quadro del Green Deal Europeo per la neutralità climatica e della Strategia europea per la biodiversità, il 17 giugno 2024 il Consiglio UE ha adottato, dopo un lungo e complesso percorso legislativo che ha visto l’opposizione di alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, il reg. 2024/1991, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il 29 luglio ed entrato in vigore il 18 agosto. 

Innovando rispetto al passato, il legislatore europeo non si è limitato all’obiettivo di preservare gli habitat naturali, ma si propone di rafforzare le biodiversità e di ripristinare aree naturali degradate e gli ecosistemi, in tutte le zone terrestri, marine ed anche urbane dell’UE.

Il regolamento nasce con l’obiettivo di contribuire ad invertire il degrado degli ecosistemi terrestri e marini dell’EE, di ripristinare e migliorare lo stato di conservazione degli habitat e di salvaguardare la biodiversità e i servizi ecosistemici. 

Inoltre, si propone di contribuire al conseguimento degli obiettivi dell’UE in materia di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, di neutralità in termini di degrado del suolo, di una maggiore sicurezza alimentare e all’adempimento degli impegni internazionali in materia di tutela della biodiversità. 

Il regolamento stabilisce obiettivi ed obblighi di ripristino per un’ampia gamma di ecosistemi ed habitat naturali.

Le finalità del regolamento

Il legislatore europeo muove dalla considerazione che le costanti pressioni antropiche sui sistemi naturali – agricoltura intensiva, sfruttamento del suolo,  selvicoltura non sostenibile, uso indiscriminato di pesticidi e fertilizzanti,  sfruttamento delle specie, attività inquinanti, urbanizzazione- hanno indotto un progressivo degrado degli ecosistemi (secondo le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) degradati nella percentuale dell’’81%) nonché una drastica diminuzione della biodiversità, con un impatto altamente negativo sulla salute, sul clima, sugli equilibri economici e geopolitici. 

Sotto il profilo della salute: risorse ambientali sane garantiscono alimenti sicuri, sostenibili, a prezzi accessibili e, associate agli sforzi volti a ridurre il commercio ed il consumo di flora e fauna selvatiche, contribuiscono a prevenire possibili future malattie trasmissibili con potenziale zoonotico ed a rafforzare la resilienza di fronte a queste malattie, riducendo rischi di epidemie e pandemie e contribuendo all’applicazione dell’approccio “One Health”, ove ben evidenziato è il nesso intrinseco tra salute umana, salute animale  ed una natura integra e resiliente. 

Sotto il profilo del clima: il ripristino degli ecosistemi vale ad accrescere la capacità di assorbimento e di stoccaggio del carbonio nei serbatoi naturali (mitigazione) nonché l’adattamento alle variazioni climatiche negli insediamenti urbani e rurali. Equilibri economici e geopolitici. Ecosistemi sani producono effetti positivi sulla produttività alimentare a lungo termine, sulla capacità di approvvigionamento delle risorse e sui costi operativi delle imprese di ogni settore ed altresì rappresentano immancabile presupposto per scongiurare la dipendenza dei Paesi UE dalle importazioni.

Rafforzare la biodiversità, ripristinare gli ecosistemi degradati, conseguire gli obiettivi UE in materia di cambiamenti climatici costituiscono obiettivi centrali del Regolamento: si tratta di passaggi indispensabili per il raggiungimento dei fondamentali obiettivi di protezione della salute e della sicurezza alimentare, del contrasto al cambiamento climatico e della pianificazione degli equilibri economici e geopolitici dell’UE. 

Nel perseguire tali finalità, il regolamento sul ripristino della natura definisce un quadro entro il quale gli Stati membri dovranno mettere in atto misure di ripristino efficaci che, nell’insieme degli ecosistemi che rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento, dovranno coprire, entro il 2030, almeno il 20% delle zone terrestri e marine e, entro il 2050, tutti gli ecosistemi che necessitano di essere ripristinati.

Per conseguire tali obiettivi, gli Stati Membri, entro il 2030, dovranno ripristinare il buono stato di conservazione di almeno il 30% degli habitat terrestri, costieri, di acqua dolce e marini indicati dal regolamento. Questa percentuale aumenterà poi al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050. Sono previste delle deroghe rispetto a questi obiettivi e obblighi di ripristino che dovranno essere debitamente giustificate dagli Stati membri che le richiederanno.

Si stabilisce anche che, fino al 2030, nell’attuazione delle misure di ripristino, gli Stati membri dovranno considerare prioritarie le aree Natura 2000.

Le misure di ripristino della natura e di tutela degli habitat da attuare dovranno assicurare la protezione e il mantenimento degli ecosistemi, garantendone il non deterioramento prima e dopo gli interventi di ripristino. Inoltre, tali misure dovranno tenere conto anche della necessità di migliorare la connettività tra i diversi habitat e delle esigenze ecologiche delle specie.

Gli obiettivi specifici

In particolare, i piani nazionali di ripristino devono riguardare:

Il Regolamento stabilisce l’obiettivo del ripristino delle zone e degli habitat contemplati nei diversi allegati richiamati dall’art. 4: la finalità è quella di attuare il ripristino di quote puntualmente determinate dal Regolamento, secondo cadenze temporali ivi stabilite e mutevoli a secondo del tipo di habitat. Tenendo conto che le azioni di ripristino sono necessariamente da accompagnarsi a quelle di protezione e di mantenimento, gli Stati sono obbligati a garantire che lo stato degli ecosistemi non si deteriori prima o dopo il ripristino.

Ecosistemi marini in buono stato -compresi quelli ricchi di carbonio e le zone rilevanti per la riproduzione e crescita del novellame- forniscono alimenti sani e sicuri e contribuiscono in modo significativo alla biodiversità anche ricostituendo gli habitat di specie marine iconiche come delfini e focene, uccelli marini, nonché di squali e razze, ai quali si suole riconoscere una funzione assai rilevante nell’ecosistema. Inoltre, ecosistemi marini sani mitigano i cambiamenti climatici, riducendo l’impatto delle catastrofi naturali lungo le coste. In ragione della importanza di ecosistemi marini equilibrati, anche in tal caso il Regolamento stabilisce l’obiettivo del ripristino delle zone e degli habitat contemplati nei diversi allegati richiamati dall’art.5, secondo percentuali di volta in volta individuate dal Regolamento, secondo mutevoli cadenze temporali ivi stabilite.

Spazi verdi e copertura arborea sono riguardati quali elementi essenziali delle infrastrutture verdi urbane poiché apportano benefici ecologici, sociali ed economici agli abitanti di città, di grandi e di piccole dimensioni, e di periferie, le quali rappresentano circa il 22% della superficie terrestre dell’Unione. Per spazio verde urbano deve intendersi l’insieme di boschi, parchi, giardini urbani, fattorie urbane, strade alberate, prati e siepi urbane: non si tratta solo di habitat importanti per la biodiversità, in particolare per le piante, gli uccelli, gli insetti, inclusi gli impollinatori, ma sono anche aree che forniscono servizi ecosistemici essenziali, tra cui la riduzione ed il contenimento del rischio di catastrofi naturali, il raffrescamento, le attività ricreative, la depurazione dell’acqua e dell’aria nonché la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici. In tale contesto, il Regolamento intende porre fine al degrado degli spazi verdi urbani ed arginarne la diminuzione: l’obiettivo è quello di conseguire entro il 2040 e il 2050 un incremento della copertura arborea almeno del 10 per cento rispetto al 2021 e, al contempo, di garantire che negli spazi verdi urbani in città, di grandi e piccole dimensioni, e nelle periferie non si verifichi nessuna perdita netta di spazi verdi e copertura arborea entro il 2030.

La direttiva quadro Acque non impone necessariamente agli Stati membri di rimuovere ostacoli che perturbino la connettività naturale di un sistema fluviale o lacustre: eppure molti ecosistemi terrestri e d diversi habitat e specie protetti dalle direttive Uccelli e Habitat dipendono direttamente dalla circostanza che gli ecosistemi acquatici si trovino in uno stato quasi naturale. Si tratta di un caso in cui il Regolamento integra direttive già vigenti negli Stati membri, mediante la previsione di obblighi aggiuntivi, ivi non previsti. 

Allo scopo di eliminare le barriere fluviali, favorendo così la connettività naturale longitudinale e laterale dei fiumi, il Regolamento pone l’obiettivo di identificare e rimuovere le barriere che impediscono la connettività delle acque superficiali, così che almeno 25.000 km di fiumi siano ripristinati a uno stato di flusso libero entro il 2030. Nell’attuazione di tale obiettivo, gli Stati membri sono chiamati a considerare anzitutto le “barrire obsolete”, ossia quelle che si mostrino ormai non necessarie ai fini della produzione di energia rinnovabile, della navigazione interna, dell’approvvigionamento idrico o di altri usi. Gli Stati membri integrano l’eliminazione delle barriere con le misure necessarie per migliorare le funzioni naturali delle relative pianure alluvionali.

Gli impollinatori svolgono un ruolo essenziale nel funzionamento degli ecosistemi terrestri, nella salvaguardia del benessere delle persone e della sicurezza alimentare poiché consentono l’impollinazione di piante selvatiche e coltivate: si stima che una quota della produzione agricola annua dell’UE, equivalente a quasi 5 miliardi di euro, sia direttamente ascrivibile all’attività degli insetti impollinatori. Per contrastare la drastica diminuzione che negli ultimi decenni se ne registra, anche a causa di uso incontrollato di pesticidi, obiettivo del Regolamento è di invertire il declino delle popolazioni di impollinatori entro il 2030 e di raggiungere una crescita controllata ogni tre anni, secondo una metodologia per il monitoraggio degli impollinatori ancora in fase di definizione.

Gli agroecosistemi sostenibili, resilienti e ricchi di biodiversità forniscono alimenti sicuri, sostenibili, nutrienti e a prezzi accessibili. Altresì, ecosistemi agricoli ricchi di biodiversità rendono l’agricoltura più resiliente ai cambiamenti climatici ed ai rischi ambientali, creando nel contempo posti di lavoro (ad esempio nell’agricoltura biologica, nel turismo rurale e in attività ricreative). I Paesi dell’UE sono chiamati ad attuare misure che permettano di raggiungere entro la fine del 2030, e poi ogni 6 anni, un trend positivo in almeno due dei tre indicatori determinati dal Regolamento: 1) l’indice che segnala i trend della popolazione delle farfalle delle praterie europee (the grassland butterfly index); 2) la percentuale di terreni agricoli con caratteristiche paesaggistiche ad alta biodiversità: siepi, filari, ruscelli, piccoli stagni, fossati, terrazzamenti, muretti in pietra, strisce fiorite, alberature isolate o in gruppi, bordi di campi provengono l’erosione e l’impoverimento del suolo, filtrano l’aria e l’acqua, sostengono la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici e la produttività agricola di colture che dipendono dall’impollinazione; 3) lo stock di carbonio organico nei suoli minerali coltivati. Al fine di garantire l’aumento della quota di terreni agricoli che presentino elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità, obiettivo del Regolamento è quello di accrescere tale quota su almeno il 10% della superficie agricola utilizzata e di ridurre l’impiego di pesticidi e fertilizzanti. Considerando che tra le misure più efficaci dal punto di vista dei costi per ridurre le emissioni nel settore agricolo e migliorare la biodiversità vi è il ripristino delle torbiere drenate, i paesi dell’UE dovranno ripristinare almeno il 30% di tali aree entro il 2030 (almeno un quarto deve essere riumidificato), il 40% entro il 2040 (almeno un terzo deve essere riumidificato) e il 50% entro il 2050 (almeno un terzo deve essere riumidificato), ma la riumidificazione rimarrà volontaria per gli agricoltori e i proprietari terrieri privati.

Gli ecosistemi forestali in buono stato offrono diversi benefici: forniscono legname e alimenti, catturano e immagazzinano il carbonio contribuendo al contrasto dei cambiamenti climatici e prevenendo i rischi legati al clima, stabilizzano il suolo, purificano l’aria e l’acqua e riducono l’impatto di catastrofi naturali come gli incendi boschivi e le malattie causate da parassiti. Il Regolamento obbliga gli Stati membri ad accrescere la biodiversità dell’ecosistema di foreste e boschi, che copre oltre il 43,5% del territorio dell’UE, e misura il rispetto di tali obblighi sulla base di indicatori quali  il legno morto in piedi e a terra, foreste dispari, connettività forestale, abbondanza di uccelli forestali comuni e scorte di carbonio organico.

I piani nazionali di ripristino: contenuti, valutazione e accesso alla giustizia

Avvalendosi delle più recenti evidenze scientifiche, gli Stati UE individuano le misure di ripristino necessarie per il conseguimento degli obiettivi sopra indicati e preparano piani nazionali di ripristino: gli Stati quantificano la superficie da ripristinare, mappano le zone agricole e forestali che necessitano di ripristino, individuano le sinergie con la mitigazione dei cambiamenti climatici, l’adattamento ai medesimi e la prevenzione delle catastrofi conseguentemente stabilendo l’ordine di priorità delle misure di ripristino.

Nella fase di preparazione dei piani nazionali, gli Stati membri tengono conto delle misure e strategie europee già in vigore in materia ambientale; si avvalgono dei diversi esempi di misure di ripristino indicate nell’allegato VII; mirano ad ottimizzare le funzioni ecologiche, economiche e sociali degli ecosistemi, nonché il loro contributo allo sviluppo sostenibile delle zone interessate; promuovono sinergie con i piani nazionali di ripristino di altri Stati membri, in particolare per gli ecosistemi transfrontalieri e si adoperano affinché la preparazione del piano di ripristino sia aperta, inclusiva ed efficace e che al pubblico siano offerte tempestivamente possibilità effettive di partecipare alla preparazione dei piani (art. 11).

Il piano nazionale di ripristino, che copre il periodo fino al 2050 con le scadenze intermedie previste dal Regolamento, deve includere elementi puntualmente indicati dall’art. 14. Si tratta, ad esempio, della quantificazione delle zone da ripristinare al fine di conseguire gli obiettivi di ripristino; della descrizione delle misure di ripristino a tal fine previste corredata da un calendario relativo ai tempi necessari per la loro attuazione; del monitoraggio delle zone soggette a ripristino; dell’indicazione delle disposizioni atte a garantire gli effetti a lungo termine e durature delle misure di ripristino nonché della stima circa le esigenze di finanziamento per l’attuazione di ognuna delle misure da adottare.

I piani nazionali di ripristino così redatti devono essere presentati alla Commissione che, con l’assistenza di esperti o dell’ Agenzia europea dell’ambiente (AEA), li valuta entro sei mesi dalla data di ricevimento in un procedimento che prevede una collaborazione stretta con lo Stato membro. All’esito di una siffatta attività di valutazione, la Commissione può rivolgere osservazioni agli Stati membri che ne tengono debitamente conto ed entro sei mesi dal ricevimento delle menzionate osservazioni presentano alla Commissione il piano nazionale di ripristino. Almeno una volta ogni 10 anni, tale piano deve essere oggetto di riesame da parte di ciascuno Stato, che deve tener conto dei progressi acquisiti, delle migliori evidenze scientifiche disponibili e delle conoscenze disponibili sui cambiamenti. Ove emergesse che le misure individuate dai piani di ripristino siano inadeguate al raggiungimento degli obiettivi, anche su invito della Commissione, lo Stato membro presenta un piano aggiornato ivi contemplando misure aggiuntive.

Nel quadro della legislazione nazionale, gli Stati UE provvedono affinché i membri del pubblico che vantino un interesse sufficiente o che facciano valere la violazione di un diritto, abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale o a un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale dei piani nazionali di ripristino e le eventuali omissioni delle autorità competenti, indipendentemente dal ruolo svolto dai membri del pubblico durante il processo di preparazione e stesura del piano nazionale di ripristino.

Meccanismi di monitoraggio e comunicazione

Dall’analisi del Considerando n. 30 emerge chiara la necessità che le misure di ripristino messe in atto sulla base del Regolamento apportino un miglioramento “concreto e misurabile” dello stato degli ecosistemi: è a tale necessità che sono da ascriversi gli articolati obblighi di monitoraggio posti a carico degli Stati membri, poi tenuti a rendere pubblici i dati generati da tale monitoraggio (art. 20).

Almeno ogni tre anni gli Stati membri comunicano per via elettronica alla Commissione i progressi compiuti, i risultati del monitoraggio, l’ubicazione e l’estensione delle zone soggette a misure di ripristino, l’inventario aggiornato delle barriere e le informazioni sui progressi compiuti nel far fronte alle esigenze di finanziamento.

L’AEA elabora relazioni tecniche periodiche sui progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi. Esse sono da presentare alla Commissione che, a sua volta, riferirà al Parlamento europeo e al Consiglio.
La Commissione è chiamata a valutare l’applicazione del regolamento entro il 31 dicembre 2035.

Gli atti normativi precedenti

Il Regolamento sul ripristino trova il proprio precedente logico nell’adozione, a livello europeo ed internazionale, dei seguenti atti normativi/programmi d’azione.

Al fine di affrontare i cambiamenti climatici ed il degrado ambientale, il Green Deal europeo individua l’obiettivo vincolante di rendere l’Europa il primo continente ad impatto climatico zero. La finalità è quella di trasformare l’Unione in una società equa e prospera e di rendere l’economia UE moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, garantendo l’assenza di emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050 ed una crescita economica disaccoppiata dall’uso delle risorse. Allo scopo di rendere le politiche UE in materia di clima, energia, trasporto e tassazione adatte a ridurre le emissioni nette di gas ad effetto serra (riducendole del 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990), la Commissione europea ha adottato una serie di provvedimenti: tramite il pacchetto legislativo “Pronti per il 55%” l’UE si è dotata di obiettivi climatici giuridicamente vincolanti che riguardano i settori centrali dell’economia. In particolare, obiettivi del pacchetto sono la riduzione delle emissioni in un’ampia gamma di settori, l’aumento dei pozzi naturali di assorbimento del carbonio; un sistema aggiornato di scambio delle quote di emissioni volto a limitare queste ultime, attribuendo un prezzo all’inquinamento e generando investimenti nella transizione verde; un sostegno sociale ai cittadini ed alle piccole imprese nella transizione ecologica, anche attraverso il cd. fondo sociale per il clima che mira a garantire opportunità per tutti, contrastando le diseguaglianze e la povertà energetica. Nell’ambito del Green Deal europeo, la Commissione ha adottato la strategia UE sulla biodiversità per il 2030.

La strategia dell’UE in materia di biodiversità per il 2030 è un piano globale e a lungo termine per proteggere la natura e invertire il degrado degli ecosistemi. La strategia ambisce a condurre la biodiversità dell’Europa verso la ripresa entro il 2030 a beneficio delle persone, del clima e del pianeta e contiene azioni e impegni specifici. Il piano prevede che i paesi dell’UE mettano in atto efficaci misure per il ripristino degli ecosistemi degradati, in particolare quelli con il maggior potenziale di cattura e stoccaggio del carbonio, nonché di misure idonee alla prevenzione ed alla riduzione dell’impatto delle catastrofi naturali. La Strategia stabilisce l’impegno a proteggere giuridicamente almeno il 30 % della superficie terrestre, comprese le acque interne, e il 30 % dei mari dell’Unione, di cui almeno un terzo dovrebbe essere oggetto di una protezione rigorosa, comprese tutte le foreste primarie e antiche ancora esistenti. Altresì, tabilisce l’impegno a proteggere giuridicamente almeno il 30 % della superficie terrestre, comprese le acque interne, e il 30 % dei mari dell’Unione, di cui almeno un terzo dovrebbe essere oggetto di una netta tendenza positiva in modo da raggiungere questo stato entro il 2030. È proprio in tale ambito che la Commissione europea ha proposto il Nature Restoration Law.

L’Agenda, sottoscritta il 25 settembre 2015 da 193 Paesi inclusa l’Italia, sigla il loro impegno a garantire un presente ed un futuro migliore al nostro Pianeta ed alle persone che lo abitano. Essa individua 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese) da raggiungere entro il 2030, articolati in 169 Target, che rappresentano l’orientamento per collocare l’Italia e gli altri Paesi su un sentiero sostenibile. Il processo di cambiamento del modello di sviluppo viene monitorato attraverso i Goal, i Target e oltre 240 indicatori: rispetto a tali parametri, ciascun Paese viene valutato periodicamente in sede Onu e dalle opinioni pubbliche nazionali e internazionali. Per quanto più interessa rilevare in tale sede, gli obiettivi 14.2, 15.1, 15.2 e 15.3 fanno riferimento alla necessità di garantire la conservazione, il ripristino e l’utilizzo sostenibile degli ecosistemi di acqua dolce e terrestri e dei loro servizi, in modo particolare delle foreste, delle zone umide, delle montagne e delle zone aride.

Con tale Risoluzione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il periodo 2021–2030 il decennio delle Nazioni Unite per il ripristino degli ecosistemi, con l’obiettivo di sostenere e intensificare gli sforzi per prevenire, fermare e invertire il degrado degli ecosistemi in tutto il mondo e sensibilizzare in merito all’importanza del ripristino degli ecosistemi.

Gli sviluppi più recenti

Nel maggio del 2025 è stato emanato il Regolamento di esecuzione (UE) 2025/912 della Commissione, recante modalità di applicazione del Regolamento sul ripristino della natura. Tale atto normativo contiene, in particolare, il formato tipo del Piano Nazionale di Ripristino.